Teatro

VIENNA, ANNA BOLENA

VIENNA, ANNA BOLENA

Wien, Wiener Staatsoper, "Anna Bolena" di Gaetano Donizetti

I RE PREFERISCONO LE BIONDE

Anna Bolena  (1830 ) è l’opera che consacra Donizetti protagonista assoluto della scena operistica europea ed è il primo esempio di opera drammatica protoromantica basata sulle passioni dei protagonisti: angoscia esistenziale, amore,  vendetta, onore e dove la vicenda storica è una pura ambientazione per esprimere conflitti tutti privati. Anna Bolena  fa ora la sua entrata in repertorio all’opera di Vienna con un cast stellare in una nuova, attesissima produzione firmata da Eric Génovèse, concepita per dare pieno risalto alle voci e alla bellezza di Anna Netrebko (al debutto nel ruolo) ed Elina Garança, primedonne particolarmente amate dal  pubblico viennese.

La scena di Jacques Gabel e Claire Sternberg offre una cornice elegante ed essenziale per il dramma, dove grigie pareti mobili accennano con tagli geometrici  le gallerie di un castello  piuttosto che l’architettura di una prigione. Sulla scena pochi arredi,  un trono o un letto, per creare un punto di fuga su cui fare convergere l’occhio dello spettatore. Le prospettive cambiano leggermente al ruotare della scena e lo scorrere delle pannellature crea un gioco di pieni e vuoti che mostra frammenti di un bosco brumoso e un palazzo visto dal di fuori.
I sontuosi ed eleganti costumi di Luisa Spinatelli, prevalentemente declinati sui freddi toni degli azzurri, ricreano splendori da pittura olandese e valorizzano le due diverse bellezze: la bruna sensuale e la bionda di ghiaccio. 

Lo spettacolo, convenzionale e privo di una forte idea registica, risulterebbe forse noioso se non fosse supportato dal carisma della protagonista, che, come abbiamo più volte osservato, ha la straordinaria  capacità di marcare lo spazio con la sua presenza e di attrarre a sé come una sirena il pubblico, incapace di staccarle gli occhi di dosso. Ma non solo perché è bella davvero, con quel volto da Madonna del Correggio; con lei in scena l’opera vive, diventa credibile e reale e capiamo Anna Bolena  e la sua storia di ambizione e debolezza, orgoglio e consapevolezza, donna e regina al tempo stesso. Anna Netrebko, donna forte ed emancipata, artefice nella vita della propria fortuna, non ha voluto nella scena finale, come lei  stessa ha dichiarato, nessun accenno di pazzia, quanto un andare incontro alla morte con lucida consapevolezza, in segno di accettazione di un destino autodeterminato: quando, sdraiata a terra, si passa sul seno e sul viso un velo rosso come fosse una ghigliottina, in sala scorre un  brivido che solo lei può dare. Anna Netrebko non è una belcantista (e non lo sarà mai) e anche in questa occasione le si può obiettare di avere adattato la parte alla sua vocalità, ma la linea di canto è curata ed il fraseggio pertinente e sensibile; la voce sontuosa, di timbro e colore bellissimi, trova massimo risalto nei momenti lirici e avvolge di trascinante espressività il finale.

Elina Garança  ha le physique du role della rivale fatale, una Giovanna Seymour  biondissima dal portamento naturalmente altero,  il volto candido e levigato dai lineamenti perfetti, lo sguardo di ghiaccio impenetrabile e temibile; ha la bellezza algida di una Grace Kelly o Nicole Kidman e anche il canto è aristocratico, di impeccabile chiarezza, ben modulato e differenziato; tecnicamente più agguerrita nell’arte del belcanto,  trionfa nel grande duetto con Anna, scontro ad alta tensione di voci e temperamenti, uno dei momenti magici  della serata.

Luci ed ombre per Francesco Meli: se ne apprezza sempre la  naturale bellezza timbrica e conquista il pubblico per  le doti di  fraseggio e  seducenti mezze voci,  ma nel ruolo di Percy mostra limiti  nel settore acuto e si percepisce lo sforzo. Ildebrando D’Arcangelo sfoggia voce importante e il canto è sorvegliatissimo, ma il personaggio, seppur disinvolto e aitante, non ha il carisma di un Re e nel confronto con le due primedonne appare sfocato. Una lode a Elisabeth Kulmans, Smeton malinconico e struggente, dalla grande varietà di accento. Preciso e sonoro  il Lord Rochefort di Dan Paul Dumitrescu; non allo stesso livello del cast il Sir Hervey di Peter Jelosits.

Nonostante i  numerosi tagli, Evelino Pidò offre un’ottima direzione, morbida e curata, ma non per questo priva di mordente, che favorisce al massimo il fiorire e l’espandersi delle voci; una direzione “da tradizione”,  orientata a mettere in rilievo il canto respirando con esso, piuttosto che a sottolineare  finezze e sfumature dello strumentale come ci si sarebbe potuti aspettare avendo a disposizione un’orchestra come quella dei Wiener.

Alla fine venti minuti di applausi, gioia collettiva in cui il pubblico ha tributato grandi  onori alle sue “regine”, la bruna e la bionda.

Visto a Vienna, Wiener Staatsoper, il 14.04.2011

Ilaria Bellini